Il VICOLO CIECO di Marco Vincenzi
Una costante, forte ed appagante, emerge dalle fotografie di Marco Vincenzi: l’agire per particolari, curare la parte anziché il tutto. Cosicché il particolare diventa il punto di partenza per la nostra proiezione in un infinito che può diventare compiuto, totale, solo nella nostra percezione.
Come dire, venendo a sostegno di ciò che da molto tempo vado affermando, che la parte (il frammento per l’artista) contiene, se giustamente colta, il tutto o meglio la rappresentazione del tutto.
Proprio dalla relazione che si stabilisce tra il frammento e l’evoluzione emozionale sul frammento nasce la captazione della realtà sovrasensibile. Un tipo di rapporto medianico, questo, presente nella fotografia di Marco Vincenzi, la quale, quasi che fosse il suo unico compito, postula lo sconfinamento oltre il dato oggettivo presentato. Lo dimostra il colore che, trattato fino alla massima saturazione, sembra pieno, compiuto e circoscritto nella sua essenza cromatica eppure costantemente in moto come dovesse esplodere. Lo dimostrano i particolari del corpo, del tessuto, dell’epidermide che ci costringono per l’aggressione a cui veniamo sottoposti a sfuggirli, ma anche ad arguire dove possano spingersi ed ultimarsi.
Essi sono al tempo stesso limiti fisici e aperti spazi di fuga per le nostre sensazioni. Dirò allora che Marco, fidandosi dei suoi sensi, ha fotografato il loro “fremere”. Quel “fremere” che ci disancora dalla carnosità del corpo della donna (tra l’altro sempre appena accennato) per trasportarci – storditi – in una dimensione di pura captazione in cui le nostre esperienze attendono di essere collocate e le possibili realtà individuate. Avvenuto lo sganciamento tra i sensi e il loro captare, la sua ricerca diventa avventura. E l’elaborazione, ormai sostenuta unicamente da un ordine vibrazionale, lo sospende inconsapevole in quel “VICOLO CIECO” in cui si perde ogni fisicità e connotato del LOGOS.
Mi riferisco in particolare a quelle immagini dove per fervido coaugulo di linee, colore, composizioni, simboli e analogie, l’imperscrutato viene registrato e in qualche modo composto.
Giuliano Mencarelli
Fano, 29 agosto 1986